In una vita sempre più complicata,
immersi sempre più in un mondo globale e vischioso,
contaminati e spesso infettati dalla vita degli altri,
i social hanno abdicato da tempo dal ruolo di strumento.
Sempre più la politica e la discussione civile avviene e si crea nei social
e l’inerte strumento diventa esso stesso parte integrante della discussione,
in una autoreferenzialità al limite dell’onanismo digitale.
I social propagano idee dopo averle incubate,
possono essere infinitamente utili quanto drammaticamente dannosi.
Ecco, più che uno strumento somigliano a un virus.
Può servire a creare gli anticorpi e renderci più forti e pronti per il dopo
o può farci cadere stecchiti nella prima vera epidemia digitale della storia.
E’ molto interessante quello che scrivi, il rischio esiste (non so se Henry Levy l’abbia previsto). Il problema rimane, secondo me, la possibile passività dei modelli di pensiero e degli approcci alla conoscenza che devono rimanere una opportunità “multifattoriale”. E’ il senso che costruiamo intorno all’idea di vita, di società e del mondo in cui vogliamo vivere: il web vive di noi…noi non viviamo di solo web…
sì, è l’atteggiamento, le idee e la personalità di chi utilizza lo strumento a qualificare l’utente, in genere; ma il web utilizza parole e le parole sono prodotto della mente umana, forse l’unico (o uno dei pochi) strumenti che mentre viene usato in un certo senso “usa” il suo utilizzatore, anche, e non solo il destinatario … non so s’è chiaro, ma post e commento sono ottimi spunti, grazie!