È primavera, sbocciano in Sardegna (ma anche nel resto d’Italia) mille rassegne eno gastronomiche costantemente sovrapposte, raramente innovative, ognuna autoproclamatasi la migliore, la più importante, la più vera e tradizionale.
Mille manifestazioni spesso utili all’ego dei territori, degli sponsor, delle comunità locali e della politica, utili a spendere parecchie risorse in mille rivoli senza o con scarsa conoscenza del ritorno dell’investimento.
Perché oltre l’aspetto educativo (importante) sono quasi sempre manifestazioni dedicate ai locali o ai rari turisti capitati per caso agli eventi.Spesso rappresentano declinazioni moderne delle sagre con un velo gourmet, bio, filiera corta, mangiar sano e creativo.
Eppure sarei curioso di vedere questi eventi uniti in un calendario unico, dove magari con un intelligente progetto di promo commercializzazione possono diventare un attrattore turistico più del solito (letteralmente) mordi e fuggi da weekend.
Dove magari gli investimenti possano essere ottimizzati per provare a lasciare davvero un valore aggiunto anche dopo, come ad esempio la pubblicazione degli atti delle mille tavole rotonde o dei prodotti/territori/trasformazioni/preparazioni.
Il valore sociale del cibo è enorme e la curiosità che desta è sempre più alta ma credo sia giunto il momento di riflettere su quanto sia davvero utile alla crescita della consapevolezza alimentare collettiva una modalità così dispersiva.
O invece, ragioniamo se sia giunto il momento di provare a puntare davvero sull’Agroalimentare e il trasformato con uno sforzo organizzativo e di visione innovativo e inclusivo per un marchio Sardegna davvero contenitore e non sterile o peggio furba etichetta.