Come ogni estate si parla tanto di turismo, inebriati da orde sognanti di turisti rapiti dalla nostra fantasmagorica offerta e affascinati dai dati che ci mostrano come meta ambita e sognata da mezzo mondo.
Si parla tanto per analizzare questi dati, per provare a dare una chiave di lettura e soprattutto ricercare le motivazioni del perché i turisti in Italia vengano per lo più in estate e come polli in batteria marino balneare.
E allora si scatenano i sostenitori della magica destagionalizzazione, quella pratica oscura e misteriosa attraverso la quale una destinazione turistica dovrebbe attirare i turisti nei periodi nei quali normalmente non arrivano.
O quelli convinti che i turisti ragionino come loro convinti che arrivino soprattutto per la pizza, il vino e le bellezze culturali ma inspiegabilmente solo quando c’è il bel tempo e il costo dei trasporti è accessibile.
Altri eroi del turismo immaginato sono quelli del “secondo me” strategico che fantasticano sul come intercettare il turista cinese o come creare il Distretto del “qualunque cosa” o la Rete dei “parola evocativa in italiano ma incomprensibile per chiunque”.
Abbiamo poi i fan degli eventi, come le sagre del raviolo molecolare, del pane con farine millenarie e il vino con sentore di universo con immancabile spettacolo musicale e fuochi d’artificio che sono certi che i turisti vengano proprio e solo per loro.
Non dimentichiamo gli immancabili articoli delle polemiche estive, dei turisti che in Sardegna mai più perché hanno pagato un conto salato in ristorante, perché le spiagge sono zeppe di gente e non come nella cartolina, che i trasporti sono cari e che immancabilmente arrivano alla conclusione che l’anno prossimo in Grecia o Croazia.
Altro argomento di conversazione è il viaggiatore comparativo che qualunque altra parte del mondo è meglio dell’Italia e nel caso della Sardegna non si capisce il perché continui in questa pratica sardomasochistica.
Infine la politica, quella tenera politica che immagina strategie, visioni, futuri e poi spesso riesce a malapena ad essere presenti alle fiere e partorire un portale dove quasi sempre si tenta di (e sempre lì ritorniamo) destagionalizzare.
Parlano tutti, parlano anche a ragione, talvolta.
Ma in pochi, pochissimi fanno qualcosa.
E quei pochi lo fanno da battitori liberi, da imprenditori e amministrazioni ispirate da buone pratiche o da idee intelligenti che rendono l’Italia una paese disseminato di eccellenze disorganizzate e sconosciute, poco competitive e isolate.
Ecco, forse è il caso di parlare di meno e iniziare a organizzare di più, in quel lavoro oscuro e senza paillettes e conferenze stampa, senza social wow e incarichi inutili per dare forma e sostanza a una nazione che di turistico ha solo la speranza e un flusso autonomo e spesso incontrollato di turisti.
Essere una destinazione turistica strutturata, sostenibile, competitiva e redditizia ha necessità di lavoro, fatica, umiltà, silenzio, collaborazione.
Essere un prodotto turistico significa avere la conoscenza di tutto ciò che è parte sostanziale ma anche potenziale per un turista, in un processo che è più sociale che commerciale.
Conoscere tutti gli elementi, metterli insieme in maniera omogenea e coordinata, progettare turismi, portarli sul mercato, gestirli e misurarli, fidelizzarli sulla reputazione.
Un lavoro molto ingegneristico, in fondo: stato di fatto, stato di progetto, esecuzione, varianti, manutenzione.
Certo, è più facile chiacchierare per finire su un giornale o avere qualche migliaio di condivisioni sui social, lamentarsi e dare la colpa al politico di turno, al mercato crudele, ai turisti che non capiscono l’importanza della nostra specialità, agli imprenditori non all’altezza o ai comunicatori non efficaci.
Provare a parlare di meno e a fare di più, dato che i risultati negli ultimi anni non sono soddisfacenti, potrebbe essere un tentativo da fare.
Perché le altre nazioni innovano e sperimentano, con tanto lavoro, investimenti, fatica e volontà e i risultati si vedono.
Il turismo è una scienza, non una chiacchiera: affrontiamolo con il giusto approccio, la giusta serietà e soprattutto con le azioni.
Perché non sia, per l’ennesima volta, che tra il dire e il fare ci sia di mezzo solo il marino balneare.