Ho letto con grande interesse l’articolo della della Nuova Sardegna sulle nuove idee del nuovo Assessore all’Urbanistica della Regione Sardegna riguardo lo sviluppo urbanistico e anche turistico della nostra isola.
Ne escono fuori una serie di visioni programmatiche che riassumo qui in ordine sparso. In sostanza si vuole:
- una Soprintendenza che dipenda dalla Regione (che non vuole interferenze dal punto di vista della tutela del paesaggio);
- l’Urbanistica del bello come è stato il modello Costa Smeralda (anche se l’assessore dichiara che a Cagliari non tutti capiscono, desumo quindi che il resto della Sardegna o sia d’accordo o il loro pensiero non sia granché interessante);
- la demolizione degli “ecomostri” per ricostruirli con premialità volumetriche sul concetto del bello (bello per chi, poi, sarà da capire);
- lo stop alle seconde case, si cambia rotta per autorizzare solo strutture ricettive di qualità (come se le seconde case fossero tutte destinate all’extra alberghiero e non invece investimenti immobiliari lasciati spesso sfitti e senza reddito).
- Parola chiave per le nuove edificazioni è la coerenza con l’identità e si citano come modelli case campidanesi e stazzi galluresi (una Sardegna così immagina somigliarebbe più a una disneyland di falsi storici, direi);
- zone interne priorità di sviluppo ad esempio realizzando campi da golf per favorire l’indotto e allungare la stagione ma anche a pensare a una “sorta di albergo diffuso” ;
- destagionalizzazione anche incentivando le strutture ricettive a chiudere le verande o coprire le piscine.
Al di là delle questioni puramente politiche osservo che, come al solito, l’urbanistica è vista come l’anticamera dell’edilizia e non come scienza sociale di pianificazione del futuro più che del territorio.
La Sardegna vive un momento drammatico in un contesto nazionale deprimente e in uno mondiale catastrofico: continuare a ragionare con modelli di visione e sviluppo come negli anni ottanta (e con una straordinaria continuità politica negli ultimi decenni) rappresenta o una straordinaria ottusità o un più pragmatico dubbio utilitarismo.
In Sardegna (ma la questione è comune a molte regioni d’Italia) l’edilizia ha di fatto cambiato per sempre interi territori non portando alcun reddito stabile ma solo un benessere effimero pagato a caro prezzo.
Le seconde case ne sono un esempio: nell’allegra gestione degli anni 70 fino agli anni 2000 si sono letteralmente svendute intere porzioni di costa per costruire incredibili accozzaglie di agglomerati edilizi senza una logica urbanistica e tantomeno sociale o turistica. Case che oggi vivono (quando va bene) per non più di tre mesi l’anno creando una serie di problemi enormi (dal carico urbanistico concentrato nei mesi estivi alla impossibilità di creare alcuna strategia di comunità o turistica essendo case di serie B).
Altro elemento da discutere è quanto le strutture ricettive “di qualità” abbiano una sorta di deroga all’edificazione in quanto già esistenti e le uniche a garantire appunto il turismo di qualità.
Ultimo elemento è il discorso delle zone interne che sotto le belle parole di identità, recupero, albergo diffuso e destagionalizzazione turistica solitamente nascondono solo la volontà di inserire attività che poco hanno a che fare storicamente con quei luoghi ma che poi ne fanno schiavitù economiche.
Tutto ruota intorno a una semplice domanda: cosa vogliamo che sia la Sardegna?
Una disneyland dell’identità sarda dove ricostruiamo luoghi e tradizioni in villaggi vacanza, sfilate per turisti e giochi aperitivo al tramonto?
O forse una cintura di alberghi costieri stile Costa Smeralda pieni due mesi l’anno e deserti per il resto?
Sono un ingegnere, vivo con calcoli, urbanistica e cemento e non sono un ambientalista integralista ma qualche domanda me la faccio eccome.
Perché in un mondo che ipotizza tra meno di 80 anni (OTTANTA ANNI) mezza Sardegna allagata da un innalzamento delle acque con una tropicalizzazione del clima sempre più estremo e violento forse provare a immaginare un modello diverso di sviluppo non è un esercizio di stile per occidentali annoiati ma una URGENZA per il nostro futuro.
Dobbiamo immaginare altro, dobbiamo essere coraggiosi e d’esempio, anche.
Puntare sulla sostenibilità ambientale fuori dalle vuote parole da convegno significa limitare l’edificazione incentivando per davvero il recupero dell’esistente con regole certe, politiche di defiscalizzazione serie e politiche di disincentivazione della speculazione edilizia.
Significa far diventare la Sardegna un grande parco ambientale con regole certe e limitando pesca e caccia se non controllata e autorizzata come avviene in migliaia di posti in tutto il mondo. Perché vedere turisti e locali che pescano pesci e crostacei sottomisura o usano conchiglie e sabbia come souvenir delle loro vacanze è indecente e inaccettabile.
Significa anche avere una visione turistica diversa, con al centro le persone.
Non dobbiamo dare ciò che si vuole ma dobbiamo offrire ciò che di meglio abbiamo nella migliore maniera possibile.
Creare offerta non significa mettersi il vestito da pagliacci e far ridere i turisti, costruire servizi per come sono abituati a fruirne in altri luoghi, significa trovare i turisti che apprezzano ciò che rappresentiamo come unicità, che arrivano per scoprire e non per trovare ciò che gli abbiamo artificialmente costruito per renderli felici.
E quindi significa anche creare una offerta turistica organizzata e strutturata completa (comprese le seconde case) per scegliere quali e quanti turisti far arrivare in Sardegna (e anche quando).
Significa immaginare di essere innovativi nel proporre un modello Sardegna da imitare, nei trasporti, nella qualità della vita, nell’alimentazione, nella sostenibilità ambientale, nella integrazione sociale tra ospiti e comunità, nella comunicazione, nella bellezza, nella valorizzazione della identità.
Provare a cambiare questa inerzia è urgente e sembra che a nessuno interessi: ci si affanna a condividere status di emergenze planetarie (legittimo, ci mancherebbe) dimenticandosi di ciò che accade a pochi metri da casa propria.
Sono stanco di vedere una politica miope perché i cittadini guardano in terra, sono stanco di aspettare soluzioni strabilianti di prestigiatori ammalianti quando la soluzione (e lo sappiamo bene tutti) è faticosa, lenta, difficile.
Proviamo a immaginare qualcosa di nuovo, proviamo a immaginare qualcosa che abbia un futuro.