Rientro dopo due settimane di vacanze all’estero, partito con l’Italia ancora senza contagiati e rientrato con una epidemia preoccupante, scuole e università chiuse, eventi cancellati e tantissime nazioni precluse agli italiani.
È stato straniante essere percepito, per la prima volta nella mia esperienza di viaggiatore, come lo straniero da trattare con diffidenza perché proveniente da una nazione a rischio.
In queste settimane nelle pieghe della vacanza, collegato alla terra natia con il cordone ombelicale digitale, ho avuto anche modo di ragionare sulla percezione della nostra nazione dall’estero, soprattutto dalle parole che la raccontano tramite media e social.
Ho capito molto poco, per onestà.
Perché mille informazioni sovrapposte in mille canali istituzionali e non, tanta stampa e tv alla ricerca più dello scoop che dell’informazione, poche anche se apprezzabili ed esaustive informazioni e notizie nascoste e minate dall’onda di commenti e interpretazioni spazzatura.
Perché ciò che è saltato all’occhio è l’impari lotta tra le notizie e i commenti (che spesso diventano notizie) in un loop schizofrenico che di fatto non permette di capirci quasi nulla.
La mia salvezza sono state le persone incontrate nella rete di relazioni di questi anni: leggere le notizie dalle persone come fonte mi ha permesso di capire un po’ di più ed evitare di dover saltare da una verifica all’altra in una sorta di giornalismo home made sul giornalismo ufficiale. Un incubo comunicativo faticosissimo, comunque.
Trovare un sito istituzionale dove le informazioni siano chiare, inequivocabili e utili è stato impossibile se non facendo un patchwork e comunque rischiando di prendere cantonate.
Ecco, nel 2020 credo sia un problema che non può continuare ad esistere: nelle emergenze deve esserci una comunicazione univoca, autorevole, utile e immediata.
Lo stato, le Regioni, i Comuni devono uniformarsi a un modello che al cittadino permetta di trovare tutto ciò che lo informi in un unico canale dal quale poi potrà pure essere declinato in altri linguaggi, media, social.
Altrimenti è solo un caos dove chiunque può mettere in dubbio qualunque cosa con un unico risultato: esporre a un potenziale e ulteriore pericolo il cittadino stesso.
Di cattiva informazione si può morire, non bisogna mai dimenticarlo.
Altro aspetto messo in evidenza da questa emergenza è la spinta su modelli di lavoro smart o in remoto per ridurre i rischi di contatto.
Anche qui ci svegliamo impreparati e proviamo a rimediare con la buona volontà dei singoli più che delle organizzazioni. Sarebbe bello che fosse l’occasione per far capire quanto questo modo di lavorare sia una modalità diversa di approccio del lavoro, fondato più sugli obbiettivi che sul timbro su un cartellino.
Rimango infatti affascinato da chi trova poco “umano” lavorare così, senza il contatto fisico delle persone ma solo per il tramite di una piattaforma tecnologica, delle webcam, dei testi e della voce quando ogni giorno sviluppiamo relazioni anche profonde, ci indigniamo, ci commuoviamo, sorridiamo e cazzeggiamo su strumenti che sono molto meno interattivi come i social network.
Oggi probabilmente abbiamo l’occasione e la fortuna di avere tempo e strumenti per capire le persone nella loro essenza, in quello che pensano, condividono e scrivono senza la in fondo distraente presenza fisica.
Usiamoli per imparare, per ampliare le relazioni per creare anche nuove modalità di creazione di contenuto e di valore e anche per sprecare meno tempo inutilmente con persone che non meritano la nostra attenzione.
Sono fermamente convinto che viviamo un momento di svolta della nostra evoluzione umana della quale negli ultimi tempi abbiamo visto solo pezzi del puzzle senza ancora avere la convinzione che metterli insieme sia l’unica soluzione per sopravvivere.
La sostenibilità ambientale, l’innovazione tecnologica, la consapevolezza di essere degli esseri umani connessi in una umanità aumentata (con tutti i pregi e difetti di questo) sono elementi che possono portarci a un livello superiore dove la conoscenza e la sua condivisione saranno determinanti per la crescita e il futuro più che gli strumenti che la trasporteranno, la interpreteranno, la renderanno espressione tangibile con mezzi e tecnologie.
Per questo mi auguro che la grande comunità digitale sia attiva e propositiva, che aiuti a capire che direzione prendere per arrivare velocemente a definire e codificare modelli, modalità e buone pratiche per rendere questa nostra Italia meno ostaggio di dinamiche ormai anacronistiche se non defunte.
Ultimo aspetto è legato al settore che mi ha visto appassionato artigiano digitale negli ultimi anni, il turismo.
Viviamo un momento drammatico, con un crollo di arrivi verso la nostra nazione a rischio sanitario e con la chiusura dell’accessibilità all’estero per la gran parte delle destinazioni straniere. Ieri Fiumicino sembrava lo scalo periferico di un paese sudamericano: un deserto deprimente.
Crollo delle destinazioni turistiche storiche come le città d’arte, ristoranti deserti, alberghi chiusi o fortemente ridimensionati, la prossima stagione a forte rischio.
È probabilmente il crollo di un modello che lavora sui grandi numeri, sul modello consumistico del turismo più vocato alla redditività marginale che su uno dal minore impatto numerico ma a più alta redditività.
Anche in questo si è tanto parlato di turismi delle esperienze più per riempirsi la bocca nei convegni che per provare a innovare l’offerta. Il turismo esperienziale visto finora quasi sempre è una glassa sostenibile per modelli di turismo semi intensivo tradizionale.
Bisogna invece avere il coraggio di riportare il turismo su canali più individuali di crescita e conoscenza, di esperienza non esclusiva e tantomeno massiva ma sostenibile e soprattutto al giusto prezzo.
Perché continuare a pensare che il prezzo più basso sia l’unico mantra da seguire per intercettare turisti è profondamente sbagliato.
È il valore aggiunto che riusciamo a proporre e vendere rispetto ad altre esperienze, è la qualità della vacanza sempre più ritagliata intorno al turista e alla sua attesa di esperienza, la possibilità di sorprenderlo, anche.
Ancora di più in questo momento dove tutto sembra senza uscita è invece forse l’occasione per ripensare a un turismo più lento, meno affollato, a rischio contenuto, magari con modalità di trasporto più terrestre e navale, in piccole strutture e in luoghi meno popolari.
L’occasione per proporre anche la strutturazione turistica dell’enorme offerta dell’extra alberghiero come prodotto di destinazione sostenibile e integrato in un tessuto sociale e di servizi come naturale in qualunque pianificazione urbanistica.
Vi ho abbastanza annoiato su comunicazione, tecnologia, turismo, argomenti uniti dalla speranza che ci sia un nuovo approccio di sviluppo, di convivenza e di futuro dove l’essere umano rimanga al centro in armonia con il resto del pianeta, dove l’economia non sia solo consumistica e del maggior profitto ma anche e soprattutto della crescita collettiva, dove il modello di conoscenza sia supportato sempre più da strumenti e tecnologie meno invasive e al servizio degli uomini.
Un futuro semplice, dove l’eredità siano pensiero, conoscenza, evoluzione, rispetto.
Un futuro semplice che invece tempo sarà terribilmente complicato.
Provarci però è un dovere: ecco, io ogni giorno ci proverò, perché siamo tutti responsabili del nostro futuro. Fatelo anche voi, se potete.
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