Mai come quest’anno il turismo è diventato argomento popolare e discusso, al di là dei tradizionali articoli di costume sul turismo petrolio dell’Italia, sul costo dei traghetti in Sardegna, le file in autostrada e il catalogo anatomico delle celebrità sui social.
Quest’anno i turismo vive una crisi senza precedenti che vedrà con alta probabilità tante strutture non riaprire mai più.
In questo affannarsi alla ricerca di soluzioni e spiegazioni c’è stato un improvviso aumento di esperti di turismo che in centinaia di post, webinar, articoli, interviste e corsi hanno spiegato le loro ricette per la ripartenza, quasi tutte accomunate da una decisa azione promozionale per intercettare i turisti e convincerli a scegliere l’Italia come meta per le loro vacanze.
La ricerca di soluzioni facili sembra la cifra stilistica di questi soloni che puntano alla disperazione e al tragico momento in un populismo turistico che mai come oggi è terribilmente popolare.
Vi svelo un segreto: il turismo è un settore complesso, con attori trasversali e spesso non collaboranti, lento e con una tendenza a essere anarchico nei fatti e le cui azioni veloci portano solitamente a dei benefici immediati che nel medio e lungo termine diventano purtroppo danni ben più gravi.
Vi svelo un altro segreto: solitamente (per tradizione, attitudine, volontà e tempismo) i soggetti pubblici non riescono a svolgere l’unico ruolo che dovrebbero avere, cioè diventare attori della strategia condivisa, immaginare futuro e finanziare azioni per realizzarlo.
Quindi le alternative sono poche, maledette e ogni giorno e per lungo, lunghissimo tempo.
Primo, trovare modalità comuni per emergere in un mercato competitivo e spietato, creare prodotti organizzati, efficienti, al prezzo giusto, organizzare la filiera di tutto ciò che ne fa parte (dai trasporti, al cibo, alle informazioni, alla segnaletica, agli eventi, ai bagni pubblici, a tutto ciò che può essere importante per un cittadino temporaneo).
Secondo, rinunciare al ruolo di centro del mondo che ci siamo auto donati (da italiani, da regioni, da comuni, da enti, da località, da attività, da imprenditori, da cittadini), perché ogni entità appena citata pensa di essere l’unica a proporre o avere quella specialità, peggio per il resto del mondo. Ecco, meno ego, più umiltà: essere speciali non basta più.
Terzo, avere pazienza, costanza, tenacia. Tutto questa attività di co creazione e di organizzazione ha necessità di tempi lunghi per acquisire la giusta maturità e diventare un modello efficiente e adattabile a ciò che il mercato dinamico quale è quello del turismo propone ormai continuamente. Tempi lunghi che non possono essere accorciati con le parole, le promesse, il danaro, le bacchette magiche. Una comunità non si crea in un giorno.
Extra punto: il digital marketing, gli influencer e lo Storytelling. Pensare che i primi tre punti si possano bypassare grazie a mirabolanti azioni di marketing anche investendo cifre considerevoli per avere azioni di conversione (ergo prenotazioni) è tendenzialmente una balla colossale.
Sembra infatti che raccontare rappresenti l’elemento fondamentale per convincere i turisti (soprattutto gli indecisi) e sembra che questo debba avvenire sempre più con chiavi di racconto utili solo a stupire più che a ispirare per prenotare. Il digital marketing serve a vendere un prodotto con strumenti digitali ma se il prodotto è scadente nel suo complesso sarà complicato gestire il turista durante e soprattutto dopo la vacanza.
Diventa inoltre molto più semplice raccontare qualcosa che esiste senza andare a creare palinsesti narrativi su incipit turistici d’eccellenza in un contesto mediocre.
Si rischia così di essere come le confezioni di merendine che dalla confezione sembrano perfette, appetitose e irresistibili per poi dimostrarsi appena mangiabili e deludenti. E poi quelle merendine solitamente non le compriamo più e sicuramente non le consigliamo a nessuno.
Ultimo elemento è la paura del cambiamento.
Il mondo cambia ogni giorno, in tutti i campi e in tutti i contesti sociali: gli strumenti digitali cambiano i processi e le relazioni e conseguentemente le persone. Ignorare questo è il primo errore per il processo di innovazione che è necessario e inevitabile.
Ciò significa essere attori consapevoli di questo cambiamento, coraggiosi e convinti, propositivi.
Significa esserlo insieme come comunità di interessi per crescere e amplificare il singolo potenziale in risultati maggiori che da singoli.
Significa non avere paura di chi non vuole l’innovazione dal suo comodo ruolo acquisito per consolidata tradizione o potere. Esistono modalità collaborative e dal basso che possono essere attivate senza aspettare regie, finanziamenti o investiture. Il futuro non può più essere gestito in forma piramidale dove un Faraone e pochi Sacerdoti decidono il futuro del turismo.
Il futuro è in poche cose, fatte bene, insieme e con umiltà, con fatica e tempo adeguato.
Il futuro è parecchio il passato, nonostante gli strumenti. Perché in fondo il turismo sono solo persone che si muovono, da sempre.
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