Leggo oggi l‘ennesima notizia che denota la scarsa attenzione della politica nei confronti della cultura: il click day legato ai finanziamenti per gli eventi culturali sardi che hanno sancito l’esclusione di festival importanti ultra decennali del panorama sardo, uno fra tutti Time in Jazz. Finanziamenti a consuntivo, quindi di eventi già svolti sui quali si era scommesso sulla qualità e bontà del progetto confidando nel finanziamento.

Invece procedure disumane dove essere pistoleri di tastiera in una sfida che fa vincere i più rapidi libera i decisori dal faticoso impegno di scegliere i migliori valutandoli nel complesso del loro progetto artistico.

La tristezza che mi assale è immensa e provo un grande, grandissimo imbarazzo per un sistema pubblico che vanifica e banalizza il merito, la fatica, il rischio imprenditoriale, l’enorme valore sociale ed economico che hanno queste manifestazioni culturali.

Questo perché il pensiero purtroppo comune è che la cultura ma più in generale la crescita culturale e sociale collettiva debba essere misurata solo con parametri puramente economici e non invece con un indicatore di benessere comune e di crescita collettiva.

Perché di questo stiamo parlando, di persone o soggetti pubblici che valutano un evento in termini di biglietti staccati e indotto, di evidenza e ritorno economico senza valutare i processi sociali e culturali lenti, collettivi, trasversali a tutte le attività della nostra vita.

Questo è il nocciolo del problema, voler portare la questione sulla contabilità dei numeri, avvilente modalità senza cuore quando invece dovremmo misurarne il senso profondo delle azioni anche collegate.

E anche avere degli orizzonti temporali legati grettamente ai mandati politici con una miopia schizofrenica che porta ad avere soluzioni spot funzionali al gradimento collettivo invece che al pianificare e progettare percorsi di crescita di durata almeno decennale.

Viviamo tempi veloci, di bulimia informativa e di scarsa comprensione dei tempi presenti, di livellamento mediocre delle nostre aspettative di futuro verso un gestione quotidiana delle strategie, impiegati della nostra vita senza visione del futuro e con scarsa percezione del nostro passato dimenticato dopo pochi attimi e sostituito da un presente usa e getta che non aiuta a crescere ma solo a sopravvivere.

Una comunità cresce se aumenta il valore collettivo e questo avviene se la cultura in tutti i suoi aspetti viene incentivata a smuovere quei processi di crescita, di pensiero, di partecipazione attiva, di innovazione, di salvaguardia e racconto del passato che permettono all’essere umano di evolvere.

Banalizzare la cultura come fosse un processo economico qualunque che deve essere valutato come una zucchina al mercato è pericoloso e anche stupido.

Assegnare fondi (che sono ridicoli, per inciso) con sistemi che non premiano la meritocrazia ma solo l’essere al momento giusto nel posto giusto con la velocità giusta è pura follia.

Per analogia potremmo assegnare anche incarichi e titoli così, se il merito è ritenuto requisito secondario e non determinate all’assegnazione.

Abbiamo bisogno di un diverso approccio verso il mondo culturale che non deve essere visto come popolato di perditempo che vivono alle spalle della collettività divertendosi (sic!) ma come un bene primario necessario alla sopravvivenza e al futuro della nostra collettività contrapposto alla grettezza sterile dell’economia basata esclusivamente su profitto e capitale.

Poi, superato questo scoglio culturale, si scoprirà che la cultura sa anche essere industria efficiente e redditizia (nel complesso) e che è forse l’industria più sostenibile del pianeta per quanto riguarda il benessere e la crescita dell’uomo come singola entità e come umanità.

Gli artisti sono ormai come panda in via d’estinzione, uccisi dai bracconieri di fondi e avvelenati dalla banalità della mediocrità fatta a sistema.

Con la cultura non si mangia, dicono amaramente gli operatori da decenni.

Ma adesso non serve l’elemosina pelosa della politica, serve che le venga ridato il ruolo che le compete, serve il rispetto, serve che diventi centrale nella vita di tutti noi. Meno Netflix della Cultura, più investimenti insomma.

Perché la cultura, tutta la cultura, trovi la dignità e il ruolo perché ci renda migliori e più consapevoli in questo mondo dove la conoscenza non può essere solo banale disponibilità di nozione ma processo evolutivo di crescita personale e collettiva.

Altrimenti sopprimiamola per non farla più soffrire inutilmente (e ovviamente il funerale con il click day).

insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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