Grande enfasi è stata data alla riforma della PA e alle migliaia di assunzioni che presto porteranno (nelle intenzioni del governo) una vera innovazione snellendo la burocrazia e il pachiderma pubblico.
Una riforma necessaria per un settore che negli ultimi venti anni è stato sistematicamente smantellato e depotenziato per colpa della percezione della stessa come macchina inutile, mangiasoldi, ostacolo allo sviluppo e serbatoio di assunzioni di personale scadente e spesso con procedure macchinose e nebulose.
Un processo avallato da tutti i governi che si sono susseguiti e che di fatto hanno reso la macchina PA poco efficiente e anacronistica.
Ben venga quindi una riforma e una iniezione di assunzioni di giovani anche se come dice bene Alfonso Celotto in “Nella P.A. non basta assumere, prendi pesci che non hanno mai nuotato” non basta essere giovani e competenti per essere pronti per entrare in una macchina che oggettivamente è complicata.
Per chi magari non conosce bene le PA, al di là della narrazione e delle definizioni/slogan che hanno affollato le discussioni degli ultimi anni (ricordo con un sorriso quella di “fannulloni” del ministro attuale e passato Renato Brunetta ), faccio presente che esiste una struttura amministrativa piramidale con in testa Direttori Generali e Dirigenti che gestiscono sottoposti impiegati, con lo scopo di gestire l’amministrazione ordinaria e straordinaria della cosa pubblica secondo le indicazioni della politica nel rispetto della legge e della separazione dei poteri.
Questa struttura amministrativa ha dovuto fare i conti (come in tutti i campi lavorativi) con una evoluzione di processi lavorativi, organizzativi e legislativi che in meno di venti anni hanno cambiato in maniera radicale quasi tutto del lavoro per il quale erano stati selezionati e assunti.
L’innovazione tecnologica è solo uno degli aspetti ma forse è il più evidente.
Oggi esistono amministrazioni che non hanno banche dati che garantiscano l’interoperabilità, procedimenti al di fuori della normativa vigente, accesso ai servizi scadente, non trasparente e complesso, digitalizzazione assente o con protocolli ingestibili, servizi digitali e di relazione e assistenza del cittadino in ritardo clamoroso se non assenti.
Un quadro oggettivamente non all’altezza dei tempi nei quali viviamo dove il cittadino è quasi sempre più avanti dell’ente pubblico che dovrebbe invece ispirare e tracciare la strada.
Altro elemento importante è il fatto che quasi in nessuna amministrazione i processi lavorativi sono stati reingegnerizzati per diventare misurabili e quindi su quelli poter valutare l’efficienza della macchina e dei singoli, carenza che è emersa in tutta la sua rilevanza in questo periodo di pandemia per la necessità del lavoro agile e dello smartworking.
La mancanza di cultura manageriale delle figure apicali assunte spesso con procedure atte a certificarne il nozionismo e la conoscenza di campi specifici ma quasi mai nell’attitudine a gestire processi complessi e a ridefinirli, alla gestione ottimale del personale e al lavoro intersettoriale e in gruppo delegando le funzioni delegabili, ha purtroppo fatto il resto.
L‘assenza di investimenti per la formazione ha poi cristallizzato spesso le strutture a conoscenze e tecniche, strumenti e modalità letteralmente del secolo scorso tanto che definirli anacronistici è forse perfino troppo gentile.
In tutto questo contesto esistono dipendenti che ogni giorno con tutti i limiti e nonostante tutto si dannano l’anima per fare le nozze con i fichi secchi, provando a garantire un servizio decente e adeguato per i cittadini e per dare un senso al proprio lavoro.
Ecco, io mi chiedo cosa si stia pensando di fare per questi naufraghi delle PA che quotidianamente (e spesso nonostante le figure apicali) mandano avanti la baracca, con competenze spesso importanti ma invisibili.
Giusto, giustissimo innestare nuove leve, processi, infrastrutture e modelli che innalzino il livello.
Ma credo sia anche giusto pensare a chi, oggi, è già pronto per poter dare il proprio contributo e che per un sistema poco meritocratico e spesso mediocre non sono stati mai messi in condizione di esprimere quel potenziale, dipendenti che conoscono le dinamiche, i linguaggi e le complicate norme e possono essere utili ambasciatori per far rapidamente entrare a regime questa imponente battaglione di nuovi colleghi.
Perché la PA si possa innovare è necessario innovarla tutta, senza bacchette magiche ma con poche e utili azioni, prima fra tutte la reale misura delle azioni legando avanzamenti di carriera e produttività al raggiungimento degli stessi, soprattutto per i manager (DG e dirigenti) che per loro e per la legge sono i datori di lavoro.
Cambiare in meglio, premiare chi merita: sembra facile, vedremo se sarà davvero possibile.