C’è una citazione attribuita a Carlo V sui sardi (ma mai verificata) “Pocos, Locos y mal unidos” sulla tendenza a essere poveri, matti e disuniti che rappresenta purtroppo abbastanza bene l’indole dei sardi.
La utilizzo oggi perché L’Unione Sarda, il quotidiano più letto della Sardegna propone un approfondimento sullo stato della produzione, consumo e gestione dell’energia in Sardegna.
Al di là della questione prettamente numerica c’è un dato che ha necessità di un attento ma anche immediato ragionamento, visti i numerosi e imponenti interessi riguardo la produzione dell’energia nella nostra isola.
La necessità di una transizione ecologica già importante prima della pandemia, acuita dalla nuova sensibilità mondiale e accelerata dalla guerra in atto ha portato a una sostanziale fretta di derogare da ogni norma e pianificazione strategica per creare campi di energia.
Ed ecco che arrivano corpose e ricche autorizzazioni e progettazioni per campi fotovoltaici, campi eolici, biomasse e chi più ne ha più ne metta senza un minimo di strategia complessiva e senza regole riguardo le ricadute (positive e negative) nel territorio.
Parliamoci chiaro, la Regione Sardegna è autonoma ma fa parte dell’Italia e deve contribuire come ogni cittadino al benessere collettivo, ma abbiamo già visto in passato quanto le servitù militari abbiano di fatto creato solo vincoli e risibili ricadute economiche che ancora oggi di fatto vincolano lo sviluppo della Regione.
Giusto quindi diventare la batteria dell’Italia rinunciando a parte del territorio senza nessuna strategia e derogando dalle regole?
Io credo di no, non così sicuramente e fermamente.
Perché esistono altre vie meno invasive e con ricadute più immediate che possono portare a quella transizione ecologica in chiave sostenibile tanto sbandierata a parole ma poco seguita nelle azioni.
Iniziando ad esempio con i nuovi campi fotovoltaici ed eolici da posizionare in zone compromesse ma non utilizzando zone agricole, fascia costiera, paesaggi tutelati.
Ottana, per esempio. Ma non Fiumesanto, dove il petrolchimico prima, la chimica verde durante e il fotovoltaico adesso stanno stupidamente deturpando uno dei luoghi più belli della costa della Sardegna (a pochi km c’è Stintino con la Pelosa).
Poi ragionare su quale ricaduta avremmo come luogo ospitante di impianti di questo imponente calibro.
Qualunque norma tecnica di attuazione urbanistica e regolamenti edilizi conseguenti definiscono regole e soprattutto le cessioni attraverso le quali, in regime di convenzione, si premia il convenzionato in cambio di cessioni, opere di urbanizzazione, monetizzazione.
Trovo curioso che quando si tratta di energia, pur essendoci in campo fatturati spaventosi, non ci sia ricadute economiche se non davvero ridicole.
Altro elemento è legato all’investimento deciso che deve essere posto nelle comunità energetica autonome, partendo dai piccoli comuni (sarebbe finalmente l’occasione per ridare centralità alle comunità emarginate dai servizi) e dai serivizi pubblici (PA, Enti, scuole).
Investire decisamente nell’energia comune, come regione e come stato, è la mossa più intelligente.
La Regione Sardegna ha le possibilità di investire tanto danaro con la sua finanziaria (SFIRS), è ora di aprire quel portafogli e dare alla Sardegna quella centralità nelle decisioni del futuro energetico della Regione.
Futuro che passa dal recupero e la rigenerazione dei centri urbani, degli edifici pubblici, delle abitazioni, dalla gestione della mobilità, dell’agricoltura e del turismo e da tutti quegli aspetti che definiranno il futuro nostro e soprattutto delle generazioni che oggi ci guardano un po’ incredule.
Trovo che sia urgente, urgentissimo, vitale un piano energetico con orizzonte temporale a breve, medio, lungo e lunghissimo termine che sia operativo immediatamente per evitare di trovarsi come al solito il territorio presidiato da vincoli/batterie mentre si continua a illuminare il nostro futuro a lume di candela.