Stamattina mi sono svegliato con una raffica di tweet di Elon Musk sulla possibilità di validazione dell’account e di editare i tweet nei primi 20 secondi, ovviamente a pagamento: per $3/mese tutto questo sarà possibile.
Inoltre per tutti coloro che si abboneranno a Twitter Blue dovrebbero ottenere un segno di spunta di autenticazione, un tempo di 20 secondi per modificare i tweet e niente pubblicità, queste le novità preannunciate dal nuovo “padrone” di Twitter.
E tutto questo per permettere a Twitter di dipendere meno dalla pubblicità e quindi poter sopravvivere.
La questione validazione poi darebbe un diverso “segno di spunta” differenziando “personaggio pubblico” e “account ufficiale”.
Sapete quanto io twitter l’abbia sempre considerato casa, il social che mi ha permesso di esprimermi in una modalità a me naturale, interattiva, gratificante e nel quale ho scoperto una rete di relazioni e conoscenza che mi ha fatto indubbiamente crescere.
Per questo ogni volta che ci sono delle novità le prendo quasi sempre male (l’abbandono dei 140 caratteri non mi piacque ma oggi trovo sia stata una buona idea).
Da anni poi chiediamo l’edit dei tweet per i refusi, quelli che capitano sempre e che cancellare il tweet quando è già stato commentato è terrificante.
Come è anche ultra giusto che gli account siano in qualche maniera riconoscibili (almeno quelli che lo desiderano).
Ma qui il problema è più grande, globale e transnazionale, riguarda tutti ed è una questione di accessibilità alle relazioni e alla esistenza digitale che diventano sempre più appannaggio di chi ha la possibilità di pagare un canone.
Un sistema di relazioni a pagamento che richiama altre prestazioni, in un sistema di cessione di dati e di relazioni che alimentano un sistema di profilazione utili a metterci sul mercato del miglior offerente.
Le nostre relazioni in vetrina e i guadagni ad altri, insomma.
Normale, in una economia di mercato, quando si vendono prestazioni e servizi, meno normale (secondo me) quando si parla di relazioni.
Mettere un sistema a pagamento (esiste già nelle piattaforme di streaming e in mille altri servizi digitali, compresa l’informazione) crea delle diseguaglianze inevitabili.
Ogni giorno presidiamo le piattaforme digitali, abbiamo la nostra presenza, coltiviamo le nostre relazioni e le nostre attività ma esserci sempre meno diventa scelta ma obbligo.
La domanda da farsi quindi è questa: le relazioni su piattaforme digitali (che garantiscono di poter esercitare la propria cittadinanza (da cittadino globale) possono essere una scelta su base economica o devono in qualche maniera essere garantite per una sorta di diritto?
Perché il problema viene sempre affrontato in un’ottica deformata dal capitalismo: le aziende private hanno come missione fare utili. Vero, verissimo, ma come a livello economico esistono delle deformazioni del mercato che vengono limitate se non represse è curioso che non si ponga la stessa attenzione su un oligopolio sulle relazioni che condiziona il mondo forse più delle questioni economiche.
Forse provare a immaginare altre dinamiche di relazione su piattaforme digitali che si liberino della solo componente economica e che magari possano essere pianificate e gestite da un organismo transnazionale super partes.
Magari provare a immaginare quanto chi non ha accesso al reddito di fatto rimanga escluso di già per assenza di strumenti e mezzi dalla possibilità di poter essere cittadino del mondo.
Ci sono sicuramente altri e più pressanti problemi (l’Agenda 2030 ne snocciola parecchi, primo fra i quali il sostentamento) però mettiamolo lì anche questo, almeno per provare a capire se esista un’altra modalità di sviluppo.
O se invece siamo condannati inevitabilmente a mostrarci nudi nelle vetrine in affitto dei metaversi a luci blu dei protettori digitali.