Erano le 12,46 del 18 novembre 2013 quando per questo tweet la mia visione di rete social cambiò per sempre.

Quel momento lo ricordo bene, perché ero nel nord del Sardegna e le previsioni facevano presagire qualcosa di eccezionale. Da anni insieme ad amici come Giovanni Arata e Luca Zanelli e purtroppo nelle occasioni funeste dell’alluvione delle cinque terre e del terremoto dell’Emilia ragionavamo su quanto i social potessero essere utili per la comunicazione d’emergenza e di come codificarla.

Quella volta ci fu solo una consapevolezza diversa e la maturità della rete a supportare il tutto e a far cambiare per sempre la percezione dell’utilità delle rete stessa.

In quel momento infatti in Italia i social erano visti come uno strumento di informazione, di relazione leggera, di sperimentazione e di svago ma dopo #allertameteoSAR (grazie anche alla maturità della rete che in altri eventi terribili forse non era ancora pronta) non furono più visti come solo strumento di svago e informazione ma si percepì quanto potessero essere anche utili e determinanti ai fini informativi e di supporto alla gestione di processi complessi.

Dopo dieci anni tanto è cambiato nei social e in noi, ormai esseri umani con sensi aumentati dagli strumenti digitali, immersi in relazioni di rete sempre più determinanti per la nostra presenza, consapevolezza e conoscenza del mondo in cui viviamo. Tanto è cambiato anche nella percezione della fragilità del nostro pianeta anche se in concreto facciamo molto poco per cambiare l’inerzia verso un consumo indiscriminato e un po’ imbecille della nostra casa.

Poco è cambiato invece nel capire che i social non sono solo uno strumento potente ma che la differenza la fanno sempre e solo le persone che li usano, nel come li usano, nel come non li usano.

Guardiamo il lato positivo, pratichiamolo, difendiamolo e diamogli valore in alternativa all’uso distorto spesso furbo e di calcolo che viene fatto per portare sul digitale tragiche e devastanti pratiche politiche ed economiche con il solo fine di accrescere potere e danaro.

Oggi sono dieci anni da quel momento tragico, dieci anni da quell’evento che ha spazzato via la vita di tante persone e minato la serenità di chi abita luoghi fragili.

Ogni volta che guardo il cielo e sento la parola allertameteo non posso fare a meno di ritrovarmi a pensare a quella settimana di notti insonni e di quel gruppo di volontari che senza conoscersi hanno provato a essere utili come mille altri in quella occasione.

Essere utili.

Questo dovrebbe essere nella vita, sui social.

Perché se quello che faccio aggiunge valore al contesto in cui vivo (analogico o digitale che sia) allora sto facendo una cosa giusta.


Il racconto di #AllertaMeteoSAR.

Non dimenticherò quel primo tweet.

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Era il 18 novembre 2013 e le timide prime notizie sul maltempo facevano capolino sui social network.

Ricordo quel momento, mentre lavoravo e il cielo fuori dalla finestra era grigio e cupo. Ricordo che ascoltavo The Style Council e avevo una tazza di tè fumante tra le mani. Ricordo che decisi che quella volta i social network sarebbero stati strumenti attivi.

L’esperienza degli altri serve a non commettere gli stessi errori e indicare percorsi funzionali. Cose già viste ma strutturate da subito per evitare confusione.

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Trovare la fonti verificate è stato il primo problema serio. Di chi fidarsi se non delle persone che conosci come serie e affidabili in rete?

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Ricordo questo momento, in cui ho capito che eravamo di fronte a un evento che avremmo ricordato a lungo. Ricordo la sensazione di impotenza e il groppo in gola. La verità brutale di una foto è devastante.

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Le istituzioni (o meglio, le strutture di comunicazione delle istituzioni) piano piano si accorgono che le persone hanno bisogno di informazioni e indicazioni.

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Trovare incredibile che i media “tradizionali” siano così lenti.

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Ricordo questa notizia, dei primi tre morti. Ricordo ancora oggi quel poliziotto e sono certo che se informato per tempo su quel ponte non avrebbe mai rischiato di passare.

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Guardarsi intorno e rendersi conto che twitter era l’unica fonte di notizie di prima mano. Nessun tg, qualche rara testata, piccole scritte scorrevano sui tg 24h. Ricordo la rabbia per una notizia ritenuta irrilevante pur con già tre morti.

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Nessuna polemica aveva senso, allora. C’era gente in pericolo di vita, i processi, le strumentalizzazioni, gli opportunismi non avevano senso. Serviva gestire la gravissima emergenza sui territori e l’altrettanto grave emergenza informativa sui media.

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Le richieste iniziano ad essere veicolate tramite i social bypassando i canali di protezione civile e creando colli di bottiglia o addirittura falsi allarme.

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I media arrivano a raccontare la notizia ma la sensazione è di raccontare i social, più che i fatti. Le fonti ormai sono la rete.

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L’attendibilità della notizia assume un aspetto rilevante e determinante. Decido di non divulgare (anche con RT) notizie non verificate o condivise da persone completamente affidabili.

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La Protezione Civile dovrebbe avere come dovere quello di informare al meglio e il maggior numero di persone possibile per evitare di mettersi in situazioni di pericolo. Trovo incredibile che con una parte rilevante della nazione presente sui social network la protezione civile non sia presente. Anche Gazebo in una speciale puntata sull’alluvione mette l’accento su questa incongruenza.

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Twitter non basta più, lo streaming delle notizie ha bisogno di un luogo dove poter essere affisse e trovate agevolmente: la bacheca di facebook è la soluzione naturale. Non ero e non sono esperto di facebook, una situazione del genere aveva necessità di esperti e chiesi agli Angeli del Fango di Genova di darmi una mano ad attivare la pagina.

Persone che senza indugio hanno aiutato persone che non avevano mai visto. Non li ringrazierò mai abbastanza.

Da subito un manipolo di volontari digitali sardi hanno preso in mano la pagina e verificando le informazioni una per una con i loro telefoni, il loro tempo e il loro danaro hanno creato una redazione digitale che informava sui pericolo e smistava le prime richieste d’aiuto estemporanee. Persone le più diverse per provenienza ed idee politiche ma che avevano un unico scopo: aiutare altre persone in difficoltà.

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Parallelamente si sviluppano altre iniziative e una in particolare ci sembra perfetta per organizzare i dati in nostro possesso. SardSOS diventa strumento di lavoro.

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La Regione Sardegna in imbarazzante situazione comunicativa decide intelligentemente di aiutare i volontari.

E’ un momento importante in cui non ci sentiamo completamente soli nella gestione del flusso che ormai è diventato imponente.

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Finalmente ci si organizza e la rete aiuta in maniera determinante a informare in maniera capillare.

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Anche la Regione Sardegna trova ufficialmente utile lo strumento. Ricordo bene che accolsi questa notizia con grande amarezza rendendomi conto di come in tre giorni, con un drappello di volontari e il riconoscimento e l’aiuto della rete era stato possibile risolvere un problema che la Regione non si era neanche posto.

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7 giorni e 7 notti passate a gestire un flusso di decine di migliaia di notizie con la responsabilità di avere la vita delle persone attaccata a quei pochi caratteri.

Nessuno potrà mai capire cosa è stato per me e quel pugno di persone sentirsi una Regione addosso e sentirsi impotenti per una politica piccola e mediocre.

Nessuno potrà sapere la rabbia per il non riuscire  a contattare chi gestiva l’emergenza perché non eravamo nulla di rilevante.

Nessuno potrà sapere delle telefonate di politici importanti disperati come un bambino perso al centro commerciale.

Nessuno potrà sapere della generosità di persone considerate meno che vacui personaggi del mondo dello spettacolo che hanno raccolto decine di migliaia di euro e li hanno donati senza un paparazzo nei pressi.

Nessuno potrò solo immaginare quanto è stato difficile far capire ai giornali che non ci interessava rilasciare interviste ma solo fare in modo che il nostro lavoro fosse più evidente per essere più utile.

Ricordo quando ci fu il sciogliete le righe.

Avevamo fatto il nostro dovere ma io continuavo a pensare a quel poliziotto e a quel ponte che non doveva attraversare.

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L’amica e scrittrice Michela Murgia trova le parole giuste anche per questo.

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Ed io rilascio l’unica dichiarazione a un amico: @nomfup per Europa Quotidiano.

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È passato parecchio tempo. Quell’evento è diventato un esempio di come la rete può anche essere utile, strumento per aiutare le persone. Non è stato il primo caso e purtroppo negli ultimi tempi abbiamo visto che non è stato l’ultimo.

Tempo in cui le istituzioni probabilmente hanno anche lavorato per migliorare i difetti delle procedure di protezione civile ma continuano a difettare nell’aspetto ormai più evidente, la comunicazione. Ad oggi non so esattamente se e come la Regione Sardegna abbia predisposto procedure di comunicazione digitale e di gestione dell’informazione in emergenza. Poche istituzioni sarde hanno ritenuto di dover studiare e imparare da questo caso studio, almeno che io ne sappia.

Lo studio fatto sui “Social Media e comunicazione d’Emergenza” a cura di Francesca Comunello ha dedicato un intero capitolo a #allertameteoSAR, “Lorenza Parisi, Francesca Comunello, Andrea Amico #ALLERTAMETEOSAR: Analisi di un hashtag di servizio tra dinamiche di influenza e nuove forme di engagement”, capitolo nel quale dall’analisi di 93.091 tweet saltano fuori delle considerazioni che sarebbe poco accorto ignorare.

Anche il Comune di Trieste ha ritenuto di voler capire queste dinamiche.

Ad oggi sono passati undici anni da quel 18 novembre: da pochi anni la Protezione Civile Nazionale ha un account ufficiale, la Regione Sardegna un’app  e tante buone altre pratiche nelle Regione e dalla rete si stanno diffondendo per l’Italia.

Tanto fatto, tantissimo da fare, soprattutto nella prevenzione.

Undici anni da quella notte da incubo: speriamo di non doverli rivivere mai più.

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insopportabile

Ne ho le scatole piene, ma con eleganza.

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